… il segno, nei lavori di Marco Andrighetto, il cui linguaggio informaleggiante è veicolo di un naturalismo panico, fatto di suggestioni ampie che spingono chi guarda non tanto a ricostruire il processo percettivo e creativo dell’artista, ma piuttosto a costruirne uno proprio. Queste forme, e questi colori non nascono da una sensazione, ma da una scrittura della mente che osserva, o meglio ancora, ricorda il reale. Non c’è traccia dell’immersione irrazionale nell’indistinta sensazione data dal dettaglio ravvicinato; c’è piuttosto una rilettura del tutto, della visione d’insieme attraverso i segni rarefatti tracciati dalla memoria.
Kevin Mc Manus
(Premio Bice Bugatti Segantini. 2012)
…I segni grafici, le descrizioni di archeologia industriale o di zone imprevedibili di Marco Andrighetto sono come un sogno nel sogno, un’ipotesi visionaria di una realtà ferita con incisioni o segni a matita che l’artista applica con potenzialità di precisione sottratta per retaggio concettuale. I suoi luoghi sono memoria e fantasia, immaginazione e descrizione. L’artista si pone sulla linea poetica di una pittoricità contemporanea fatta di aspettative, illusioni e disillusi giochi di sotto-realtà al quale non si sottrae combattendo costantemente attraverso l’interrogazione coraggiosa e immortale dell’arte.
Martina Cavallarin
(“Ring”, scatola bianca project room Venezia. 2011)
…Ciò che balza immediatamente agli occhi nel vedere queste tavole materiche , in taluni casi piccole e quasi tascabili , che Marco Andrighetto ha realizzato in questi ultimi anni è che da esse affiorano una miriade di piccole incisione che d’ acchito appaiono come facenti parte di un complesso compositivo di memoria martoriante o di intimistica sofferenza.Solo in un secondo momento ci si rende conto che queste minuscole incisioni appartengono invece ad un universo di ipotetiche lettere e ideogrammi, che tendono a definire non solo un tessuto pittorico all’ interno delle tavole, ma anche una comunicazione che rimane interrotta o spezzata, in quanto non si riesce a percepire se le stesse potevano o meno comporre parole o frasi.
E la sorpresa poi,è tale quando nel contesto di alcune opere affiorano delle schematiche geometrie archetipe, che confondono ancor di più quello che l’ occhio vorrebbe forse percepire: un messaggio, un dolore, un probabile sudario.
Diventano quindi delle immagini che, se da un lato appartengono ad una memoria collettiva, dall’ altro inducono lo spettatore ad entrare in un mondo dove questi segni, incisioni, numeri, simboli e trasparenze di luce, testimoniano il trascorrere di un tempo senza età, combattono tra di loro, determinando una sintesi catartica.
In queste opere, allora, di indubbia qualità e sintesi formale, dove la grafia con valenza di immagine diventa un elemento quasi barbarico e che pittoricamente assumono le sembianze anche di un reperto, le emozioni, i ricordi, le sensazioni e il vissuto compongono un tutt’uno con la ricerca dell’autore e la scrittura, sottesa e cementata dentro la pittura, diventa imperscrutabile, di indecifrabile assunto.
Giorgio Russi
(Personale presso Galleria dell’ Artistico, Treviso. 2004)
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